giovedì 28 agosto 2014

Cicerone, De officiis (I doveri) 1,41 / 1,42 / 1,43 / 1,44 / 1,45

TESTO DI
Cicerone, De officiis (I doveri) 

 [41] Ac de bellicis quidem officiis satis dictum est. Meminerimus autem etiam adversus infimos iustitiam esse servandam. Est autem infima condicio et fortuna servorum, quibus non male praecipiunt, qui ita iubent uti, ut mercennariis, operam exigendam, iusta praebenda. Cum autem duobus modis, id est aut vi aut fraude, fiat iniuria, fraus quasi vulpeculae, vis leonis videtur; utrumque homine alienissimum, sed fraus odio digna maiore. Totius autem iniustitiae nulla capitalior quam eorum, qui tum, cum maxime fallunt, id agunt, ut viri boni esse videantur. De iustitia satis dictum.
 41. Dobbiamo poi ricordare che anche verso le persone più umili si deve osservar la giustizia. E più umile d'ogni altra è la condizione e la sorte degli schiavi. Ottimo è il consiglio di coloro che raccomandano di valersi di essi come di lavoratori a mercede: si esiga buon lavoro, ma si dia la dovuta ricompensa. In due modi poi si può recare offesa: cioè con la violenza o con la frode; con la frode che è propria dell'astuta volpe e con la violenza che è propria del leone; indegnissime l'una e l'altra dell'uomo, ma la frode è assai più odiosa. Fra tutte le
specie d'ingiustizia, però, la più detestabile è quella di coloro che, quando più ingannano, più cercano di apparir galantuomini. Ma basti per la prima parte della giustizia.

[42] Deinceps, ut erat propositum, de beneficentia ac de liberalitate dicatur, qua quidem nihil est naturae hominis accommodatius, sed habet multas cautiones. Videndum est enim, primum ne obsit benignitas et iis ipsis, quibus benigne videbitur fieri, et ceteris, deinde ne maior benignitas sit, quam facultates, tum ut pro dignitate cuique tribuatur; id enim est iustitiae fundamentum, ad quam haec referenda sunt omnia. Nam et qui gratificantur cuipiam, quod obsit illi, cui prodesse velle videantur, non benefici neque liberales, sed perniciosi assentatores iudicandi sunt, et qui aliis nocent, ut in alios liberales sint, in eadem sunt iniustitia, ut si in suam rem aliena convertant.
 42. Parlerò, ora, come mi ero proposto, della beneficenza e della generosità, che è senza dubbio la virtù più consona alla natura umana, ma richiede non poche cautele. Bisogna, anzitutto, badare che la generosità non danneggi o la persona che si vuol beneficare, o gli altri; inoltre, che la generosità non sia superiore alle nostre forze; infine, che si doni a ciascuno secondo il suo merito: questo è il vero fondamento della giustizia, che deve caratterizzare sempre ogni precetto. In verità, quelli che fanno un favore che si risolve in danno per colui al quale essi, in apparenza, vogliono giovare, non meritano il nome di benefattori o di generosi bensì di malefici adulatori; e quelli che tolgono agli uni per esser generosi con gli altri, commettono la stessa ingiustizia di chi, si appropria dei beni altrui.

[43] Sunt autem multi et quidem cupidi splendoris et gloriae, qui eripiunt aliis, quod aliis largiantur, ique arbitrantur se beneficos in suos amicos visum iri, si locupletent eos quacumque ratione. Id autem tantum abest ab officio, ut nihil magis officio possit esse contrarium. Videndum est igitur, ut ea liberalitate utamur. quae prosit amicis, noceat nemini. Quare L. Sullae, C. Caesaris pecuniarum translatio a iustis dominis ad alienos non debet liberalis videri; nihil est enim liberale, quod non idem iustum.
43. Ci sono poi molti, e proprio fra quelli più avidi di onore e di gloria, i quali tolgono agli uni per elargire ad altri; e credono di passare per benefici verso i loro amici, se li arricchiscono in qualunque maniera. Ma ciò è tanto lontano dal dovere che anzi nulla è più contrario al dovere. Si cerchi dunque di usare quella generosità che giova agli amici e non nuoce ad alcuno. Perciò l'atto con cui Lucio Silla e Gaio Cesare tolsero ai legittimi proprietari i loro beni per trasferirli ad altri, non deve sembrar generoso: non c'è lgenerosità dove non è giustizia.

[44] Alter locus erat cautionis, ne benignitas maior esset quam facultates, quod qui benigniores volunt esse, quam res patitur, primum in eo peccant, quod iniuriosi sunt in proximos; quas enim copias his et suppeditari aequius est et relinqui eas transferunt ad alienos. Inest autem in tali liberalitate cupiditas plerumque rapiendi et auferendi per iniuriam, ut ad largiendum suppetant copiae. Videre etiam licet plerosque non tam natura liberales quam quadam gloria ductos, ut benefici videantur facere multa, quae proficisci ab ostentatione magis quam a voluntate videantur. Talis autem simulatio vanitati est coniunctior quam aut liberalitati aut honestati.
 44. La seconda cautela da usarsi è, come s'è detto, che la generosità non superi le nostre forze. Coloro che vogliono essere più generosi di quel che le loro sostanze consentono, peccano, in primo luogo, d'ingiustizia verso i loro più stretti congiunti, trasferendo ad estranei quelle ricchezze che sarebbe più giusto donare o lasciare ad essi; in secondo luogo, peccano di cupidigia, in quanto tale generosità implica per lo più la bramosia di rapire e di sottrarre illegalmente per aver modo e agio di fare elargizioni; in terzo luogo, peccano d'ambizione: infatti, la maggior parte di costoro, non tanto per naturale generosità, quanto per prepotente vanagloria, pur di apparire benefici, fanno molte cose che sembrano scaturire più da ostentazione che da sincera benevolenza. 'I'ale simulazione è più vicina all'impostura che alla generosità o all'onestà.

[45] Tertium est propositum, ut in beneficentia dilectus esset dignitatis; in quo et mores eius erunt spectandi, in quem beneficium conferetur, et animus erga nos et communitas ac societas vitae et ad nostras utilitates officia ante collata; quae ut concurrant omnia, optabile est; si minus, plures causae maioresque ponderis plus habebunt.
 45. Terza cautela da osservare è che, nella beneficenza, si faccia un'avveduta scelta dei meriti; bisogna, cioè, considerare bene il carattere della persona che si vuol beneficare, la disposizione dell'animo suo verso di noi, i rapporti sociali che tra noi intercedono e, infine, i servigi che essa ci ha resi: è desiderabile che tutte queste ragioni concorrano insieme; altrimenti le più numerose le più importanti avranno un peso maggiore

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