TESTO DI
Cicerone, De officiis (I doveri)
[11] Principio generi animantium omni est a natura tributum, ut se,
vitam corpusque tueatur, declinet ea, quae nocitura videantur, omniaque,
quae sint ad vivendum necessaria anquirat et paret, ut pastum, ut
latibula, ut alia generis eiusdem. Commune item animantium omnium est
coniunctionis appetitus procreandi causa et cura quaedam eorum, quae
procreata sint. Sed inter hominem et beluam hoc maxime interest, quod
haec tantum, quantum sensu movetur, ad id solum, quod adest quodque
praesens est se accommodat, paulum admodum sentiens praeteritum aut
futurum. Homo autem, quod rationis est particeps, per quam consequentia
cernit, causas rerum videt earumque praegressus et quasi antecessiones
non ignorat, similitudines comparat rebusque praesentibus adiungit atque
adnectit futuras, facile totius vitae cursum videt ad eamque degendam
praeparat res necessarias.
11. Anzitutto, la natura ha dato ad ogni essere vivente l'istinto di conservare se stesso nella vita e nel corpo, schivando tutto ciò che può recargli danno e cercando ansiosamente tutto ciò che serve a sostentare la vita, come il cibo, il
ricovero, e altre cose dello stesso genere. Comune altresì a tutti gli esseri viventi è il desiderio dell'accoppiamento al fine di procreare, e una straordinaria cura della loro prole. Ma tra l'uomo e la bestia c'è soprattutto questa gran differenza, che la bestia, solo in quanto è stimolata dal senso conforma le sue attitudini a ciò che le è presente nello spazio e nel tempo, poco o nulla ricordando del passato e presentando del futuro; mentre l'uomo, in quanto è partecipe della ragione (in virtù di questa egli scorge le conseguenze, vede le cause efficienti, non ignora le occasionali, e, oso dire, gli antecedenti, confronta tra loro i casi simili, e alle cose presenti collega strettamente le future), l'uomo, dico, vede facilmente tutto il corso della vita e prepara in tempo le cose necessarie a ben condurla.
[12] Eademque natura vi rationis hominem conciliat homini et ad
orationis et ad vitae societatem ingeneratque inprimis praecipuum
quendam amorem in eos, qui procreati sunt impellitque, ut hominum coetus
et celebrationes et esse et a se obiri velit ob easque causas studeat
parare ea, quae suppeditent ad cultum et ad victum, nec sibi soli, sed
coniugi, liberis, ceterisque quos caros habeat tuerique debeat, quae
cura exsuscitat etiam animos et maiores ad rem gerendam facit.
12. Oltre a ciò la natura, con la forza della ragione, concilia l'uomo all'uomo in una comunione di linguaggio e di vita; soprattutto genera in lui un singolare e meraviglioso amore per le proprie creature; spinge la sua volontà a creare e a godere associazioni e comunità umane, e sollecita le sue energie a procacciarsi tutto ciò che occorre al sostentamento e al miglioramento della vita, non solo per sé, ma anche per la moglie, per i figli e per tutti gli altri a cui porta affetto e a cui deve protezione. Ed è appunto questa sollecitudine che rinfranca lo spirito e lo fa più forte e più pronto all'azione.
[13] Inprimisque hominis est propria veri inquisitio atque investigatio.
Itaque cum sumus necessariis negotiis curisque vacui, tum avemus
aliquid videre, audire, addiscere cognitionemque rerum aut occultarum
aut admirabilium ad beate vivendum necessariam ducimus. Ex quo
intellegitur, quod verum, simplex sincerumque sit, id esse naturae
hominis aptissimum. Huic veri videndi cupiditati adiuncta est appetitio
quaedam principatus, ut nemini parere animus bene informatus a natura
velit nisi praecipienti aut docenti aut utilitatis causa iuste et
legitime imperanti; ex quo magnitudo animi existit humanarumque rerum
contemptio.
13. Ma soprattutto è propria esclusivamente dell'uomo l'accurata e laboriosa ricerca del vero. Ecco perché, quando siamo liberi dalle occupazioni e dalle ansie inevitabili della vita, allora ci prende il desiderio di vedere, di udire, d'imparare, e siamo convinti che il conoscere i segreti e le meraviglie della natura è la via necessaria per giungere alla felicità. E di qui ben si comprende come nulla sia più adatto alla natura umana di ciò che è intimamente vero e schiettamente sincero. A questo desiderio di contemplare la verità, va unita un certo desiderio d'indipendenza spirituale, per cui un animo ben formato per natura non è disposto ad obbedire ad alcuno, se non a chi lo educhi e lo ammaestri, oppure, nel suo interesse, con giusta e legittima autorità gli dia degli ordini. Di qui sorge la grandezza d'animo, di qui il disprezzo delle cose umane.
[14] Nec vero illa parva vis naturae est rationisque, quod unum hoc
animal sentit, quid sit ordo, quid sit quod deceat, in factis dictisque
qui modus. Itaque eorum ipsorum, quae aspectu sentiuntur, nullum aliud
animal pulchritudinem, venustatem, convenientiam partium sentit; quam
similitudinem natura ratioque ab oculis ad animum transferens multo
etiam magis pulchritudinem, constantiam, ordinem in consiliis factisque
conservandam putat cavetque ne quid indecore effeminateve faciat, tum in
omnibus et opinionibus et factis ne quid libidinose aut faciat aut
cogitet. Quibus ex rebus conflatur et efficitur id, quod quaerimus,
honestum, quod etiamsi nobilitatum non sit, tamen honestum sit, quodque
vere dicimus, etiamsi a nullo laudetur, natura esse laudabile.
14. E non è davvero piccolo pregio della natura razionale il fatto che l'uomo, unico fra tutti gli esseri viventi, senta quale sia il valore dell'ordine, del lecito e della misura nelle azioni e nelle parole. Ecco perché, perfino in quelle cose che cadono sotto il senso della vista, nessun altro animale sente la bellezza, la grazia, l'armonia; solo la natura razionale dell'uomo, trasferendo per analogia questo sentimento dagli occhi allo spirito, pensa che a maggior ragione la bellezza, la costanza e l'ordine si debbano conservare nei pensieri e nelle azioni; e mentre essa si guarda dal commettere cosa contraria al decoro e alla dignità dell'uomo, bada anche, in ogni pensiero e in ogni azione, che non faccia e non pensi nulla obbedendo al capriccio. Ora, dall'intrinseca unione di questi quattro elementi è formato quello che andiamo cercando, cioè ciò che è onesto, il quale, anche se non gode di molta fama tra gli uomini, non cessa pertanto d'essere onesto; e anche se nessuno lo loda, noi diciamo a ragione che questo, per sua natura, è ben degno di lode.
[15] Formam quidem ipsam, Marce fili, et tamquam faciem honesti vides,
"quae si oculis cerneretur, mirabiles amores ut ait Plato, excitaret
sapientiae". Sed omne, quod est honestum, id quattuor partium oritur ex
aliqua. Aut enim in perspicientia veri sollertiaque versatur aut in
hominum societate tuenda tribuendoque suum cuique et rerum contractarum
fide aut in animi excelsi atque invicti magnitudine ac robore aut in
omnium, quae fiunt quaeque dicuntur ordine et modo, in quo inest
modestia et temperantia. Quae quattuor quamquam inter se colligata atque
implicata sunt, tamen ex singulis certa officiorum genera nascuntur,
velut ex ea parte, quae prima discripta est, in qua sapientiam et
prudentiam ponimus, inest indagatio atque inventio veri, eiusque
virtutis hoc munus est proprium.
15. Eccoti, o Marco, figliuol mio, la forma ideale e, direi quasi, la sembianza pura dell'onesto, " quella che, se la si scorgesse coi nostri occhi, accenderebbe in noi", come dice Platone, " un meraviglioso amore per la sapienza". Ma ogni atto onesto scaturisce da una di queste quattro fonti: o consiste nell'accurata e attenta indagine del vero; o nella conservazione della società umana, dando a ciascuno il suo e rispettando lealmente i patti; o nella grandezza e saldezza d'uno spirito sublime e invitto; o, infine, nell'ordine e nella misura di tutti i nostri atti e di tutti i nostri detti; e in ciò consiste appunto la moderazione e la temperanza. E benché queste quattro virtù siano in stretta connessione tra loro, tuttavia da ciascuna di esse nasce un particolare tipo di dovere, come, per esempio, quella virtù che ho distinta per prima e in cui poniamo la sapienza e la saggezza, la quale comporta, come suo proprio e speciale compito, la ricerca e la scoperta della verità.
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