giovedì 28 agosto 2014

Cicerone, De officiis (I doveri) 1,36 / 1,37 / 1,38 / 1,39 / 1,40

TESTO DI
Cicerone, De officiis (I doveri) 

 [36] Ac belli quidem aequitas sanctissime fetiali populi Romani iure perscripta est. Ex quo intellegi potest nullum bellum esse iustum, nisi quod aut rebus repetitis geratur aut denuntiatum ante sit et indictum. [Popilius imperator tenebat provinciam, in cuius exercitu Catonis filius tiro militabat. Cum autem Popilio videretur unam dimittere legionem, Catonis quoque filium, qui in eadem legione militabat, dimisit. Sed cum amore pugnandi in exercitu remansisset, Cato ad Popilium scripsit, ut, si eum patitur in exercitu remanere, secundo eum obliget militiae sacramento, quia priore amisso iure cum hostibus pugnare non poterat.
 36. E appunto la regolare condotta della guerra è stata scrupolosamente definita dal diritto feziale del popolo romano. Da ciò si può dedurre che non è guerra giusta se non quella che si combatte o dopo aver chiesto riparazione dell'offesa, o dopo averla minacciata e dichiarata. [Era a capo d'una provincia il comandante Popilio, nel cui esercito militava come coscritto il figlio di Catone. Parve opportuno a Popilio congedare una legione, e quindi congedò anche il figlio di Catone che a quella legione apparteneva. Ma poiché, per desiderio di combattere, egli volle rimanere nell'esercito, Catone scrisse a Popilio che, se permetteva a suo figlio di restare, l'obbligasse a prestare un secondo giuramento militare perché, sciolto dal primo, non poteva legittimamente combattere col nemico]. Tanto rigorosa era l'osservanza del diritto anche nella condotta della guerra.

 [37] Adeo summa erat observatio in bello movendo.] M. quidem Catonis senis est epistula ad M. filium, in qua scribit se audisse eum missum factum esse a consule cum in Macedonia bello Persico miles esset. Monet igitur ut caveat, ne proelium ineat; negat enim ius esse, qui miles non sit cum hoste pugnare. Equidem etiam illud animadverto, quod, qui proprio nomine perduellis esset, is hostis vocaretur, lenitate verbi rei tristitiam mitigatam. Hostis enim apud maiores nostros is dicebatur, quem nunc peregrinum dicimus. Indicant duodecim tabulae: aut status dies cum hoste, itemque adversus hostem aeterna auctoritas. Quid ad hanc mansuetudinem addi potest, eum, quicum bellum geras, tam molli nomine appellare? Quamquam id nomen durius effecit iam vetustas; a peregrino enim recessit et proprie in eo, qui arma contra ferret, remansit.
 37. [C'è una lettera del vecchio Catone al figlio Marco, nella quale scrive d'aver saputo che egli era stato congedato dal console, mentre si trovava come soldato in Macedonia, nella guerra contro Perseo. L'ammonisce dunque di guardarsi bene dall'entrar in battaglia: " non è giusto - dice - che chi non è soldato, combatta col nemico".]
Voglio anche osservare che, chi doveva chiamarsi, con vocabolo proprio, perduellis ("nemico di guerra"), era invece chiamato hostis ("straniero"), temperando così con la dolcezza della parola la durezza della cosa. Difatti i nostri antenatii chiamavano hostis quello che noi oggi chiamiamo peregrinus ("forestiero"). Ne danno prova le dodici tavole: Aut status dies cum hoste ("o il giorno fissato, per un giudizio, con uno straniero"), e cosi ancora: Adversus hostem aeterna auctoritas ("Verso lo straniero l'azione giuridica non è soggetta a prescrizione"). Che cosa si può aggiungere a una così grande mitezza? Chiamare con un nome così benigno colui col quale si combatte! E' ben vero che ormai il lungo tempo trascorso ha reso questo vocabolo assai più duro: esso ha perduto il significato di forestiero per indicare propriamente colui che ti vien contro con l'armi in pugno.

 (il paragrafo 38 non è disponibile)

[39] Regalis sane et digna Aeacidarum genere sententia. Atque etiam si quid singuli temporibus adducti hosti promiserunt, est in eo ipso fides conservanda, ut primo Punico bello Regulus captus a Poenis, cum de captivis commutandis Romam missus esset iurassetque se rediturum, primum, ut venit, captivos reddendos in senatu non censuit, deinde, cum retineretur a propinquis et ab amicis, ad supplicium redire maluit quam fidem hosti datam fallere.
 39. Ancora. Se le singole persone, costrette dalle circostanze, fanno qualche promessa al nemico, devono scrupolosamente mantenerla. Così, per esempio, nella prima guerra punica, Regolo, caduto in mano dei Cartaginesi, fu mandato a Roma per trattare lo scambio dei prigionieri, sotto giuramento che sarebbe ritornato. Come giunse, per prima cosa, dichiarò in senato che non bisognava restituire i prigionieri; poi, benché i parenti e gli amici cercassero di trattenerlo, egli volle tornare al supplizio piuttosto che violare la parola data al nemico.

[40 [Secundo autem Punico bello post Cannensem pugnam quos decem Hannibal Romam misit astrictos iure iurando se redituros esse nisi de redimendis is, qui capti erant, impetrassent, eos omnes censores, quoad quisque eorum vixit, quod peierassent in aerariis reliquerunt, nec minus illum, qui iure iurando fraude culpam invenerat. Cum enim permissu Hannibalis exisset e castris, rediit paulo post, quod se oblitum nescio quid diceret; deinde egressus e castris iure iurando se solutum putabat, et erat verbis, re non erat. Semper autem in fide quid senseris, non quid dixeris, cogitandum est. Maximum autem exemplum est iustitiae in hostem a maioribus nostris constitutum, cum a Pyrrho perfuga senatui est pollicitus se venenum regi daturum et eum necaturum. Senatus et C. Fabricius eum Pyrrho dedit. Ita ne hostis quidem et potentis et bellum ultro inferentis interitum cum scelere approbavit.]
  40. [Nella seconda guerra punica, poi, dopo la battaglia di Canne, quei dieci giovani che Annibale mandò a Roma, vincolati dal giuramento che avrebbero fatto ritorno, se non avessero ottenuto il riscatto dei prigionieri, tutti, finché ciascuno di loro visse, furono lasciati dai censori, appunto perché spergiuri, fra i tributari; e non meno degli altri, colui che era caduto nella colpa di un giuramento non rispettato. Uscito, difatti, dal campo col permesso di Annibale, vi ritornò poco dopo, col pretesto d'aver dimenticato non so che cosa; poi, uscito di nuovo dal campo, si teneva prosciolto dal giuramento; ed era, a parole, ma non di fatto]. Quando si tratta di lealtà, bisogna guardar sempre, non alla lettera, ma allo spirito della parola. [Il più grande esempio, di lealtà verso il nemico fu dato dai nostri padri, quando un disertore di Pirro offrì al senato di uccidere il re col veleno. Il Senato e Gaio Fabrizio consegnarono il disertore a Pirro. Così, neppure di un nemico potente e aggressore si approvò la morte, se questa doveva comportare un delitto.] E dei doveri di guerra ho parlato abbastanza.

 
 
  

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