giovedì 28 agosto 2014

Cicerone, De officiis (I doveri) 1,6 / 1,7 / 1,8 / 1,9 / 1,10

TESTO DI
Cicerone, De officiis (I doveri) 

 [6] Quae quamquam ita sint in promptu, ut res disputatione non egeat, tamen sunt a nobis alio loco disputata. Hae disciplinae igitur si sibi consentaneae velint esse, de officio nihil queant dicere, neque ulla officii praecepta firma, stabilia, coniuncta naturae tradi possunt, nisi aut ab iis, qui solam, aut ab iis, qui maxime honestatem propter se dicant expetendam. Ita propria est ea praeceptio Stoicorum, Academicorum, Peripateticorum, quoniam Aristonis, Pyrrhonis, Erilli iam pridem explosa sententia est, qui tamen haberent ius suum disputandi de officio, si rerum aliquem dilectum reliquissent, ut ad officii inventionem aditus esset. Sequemur igitur hoc quidem tempore et hac in quaestione potissimum Stoicos, non ut interpretes, sed, ut solemus, e fontibus eorum iudicio arbitrioque nostro quantum quoque modo videbitur, hauriemus.
 6. Queste dottrine, dunque, se volessero essere coerenti con se stesse, non potrebbero dire nulla intorno al dovere: nessun precetto morale, saldo, stabile, conforme a natura, può esser impartito se non da chi afferma che o soltanto l'onestà o soprattutto l'onestà deve essere perseguita per se stessa. Ora, un tale insegnamento è proprio degli Stoici, degli Accademici e dei Peripatetici, dal momento che la dottrina di Aristone, di Pirrone e di Erillo è ormai rifiutata da tempo. E tuttavia anche costoro avrebbero il loro buon diritto di discutere del dovere, se avessero lasciato una qualche scelta tra le cose umane, sì che fosse aperta la via alla scoperta del concetto di dovere. In questa occasione e in questa questione, dunque, io seguo principalmente gli Stoici, non già come semplice traduttore, ma, secondo il mio costume, attingendo da essi, come fonte, con piena e intera libertà di giudizio, quanto e come mi parrà opportuno.

[7] Placet igitur, quoniam omnis disputatio de officio futura est, ante definire, quid sit officium, quod a Panaetio praetermissum esse miror. Omnis enim, quae a ratione suscipitur de aliqua re institutio, debet a definitione proficisci, ut intellegatur, quid sit id de quo disputetur. . . . Omnis de officio duplex est quaestio. Unum genus est, quod pertinet ad finem bonorum, alterum, quod positum est in praeceptis, quibus in omnes partes usus vitae conformari possit. Superioris generis huiusmodi sunt exempla, omniane officia perfecta sint, num quod officium aliud alio maius sit et quae sunt generis eiusdem. Quorum autem officiorum praecepta traduntur, ea quamquam pertinent ad finem bonorum, tamen minus id apparet, quia magis ad institutionem vitae communis spectare videntur; de quibus est nobis his libris explicandum.
 7. Ora, poiché tutto il mio ragionamento si svolgerà intorno al dovere, mi piace definire innanzi tutto l'essenza del dovere; e mi meraviglio che Panezio abbia trascurato questo punto. Ogni trattazione, infatti, che la ragione intraprende metodicamente su qualche argomento, dovrebbe partire dalla definizione, perché ben si comprenda qual è l'oggetto di cui si discute. Tutta la questione riguardante il dovere consta di due parti: l'una, (teorica), che riguarda il concetto del sommo bene; l'altra, (pratica), che consiste nei precetti che devono regolare la condotta della vita in tutti i suoi aspetti. Alla prima appartengono questioni di tal genere: i doveri sono tutti assoluti? Ci sono doveri più importanti di altri doveri?; e così via, con l'aiuto di esempi. Quanto poi a quei doveri, per i quali si possono dare norme pratiche, riguardano bensì anch'essi il sommo bene, ma tuttavia questo loro carattere è meno evidente, perché, a quanto pare, essi mirano piuttosto a regolare la vita comune di tutti i giorni; ebbene, sono appunto questi i doveri che io spiegherò in questi libri.

[8] Atque etiam alia divisio est officii. Nam et medium quoddam officium dicitur et perfectum. Perfectum officium rectum, opinor, vocemus, quoniam Graeci katorthoma, hoc autem commune officium kathekon vocant. Atque ea sic definiunt, ut rectum quod sit, id officium perfectum esse definiant; medium autem officium id esse dicunt, quod cur factum sit, ratio probabilis reddi possit.
 8. Ma c'è anche un'altra suddivisione del dovere. C'è infatti il così detto dovere intermedio o relativo e c'è quello che si chiama assoluto. Il dovere assoluto possiamo anche chiamarlo, se non erro, perfetto, poiché i Greci lo chiamano kato/rqwma, mentre chiamano kaqh/kon il dovere relativo. E dei due doveri essi danno questa definizione: definiscono dovere assoluto l'assoluta rettitudine, mentre chiamano dovere relativo quello del cui adempimento si può fornire una ragione plausibile .

[9] Triplex igitur est, ut Panaetio videtur, consilii capiendi deliberatio. Nam aut honestumne factu sit an turpe dubitant id, quod in deliberationem cadit; in quo considerando saepe animi in contrarias sententias distrahuntur. Tum autem aut anquirunt aut consultant ad vitae commoditatem iucunditatemque, ad facultates rerum atque copias, ad opes, ad potentiam, quibus et se possint iuvare et suos, conducat id necne, de quo deliberant; quae deliberatio omnis in rationem utilitatis cadit. Tertium dubitandi genus est, cum pugnare videtur cum honesto id, quod videtur esse utile. Cum enim utilitas ad se rapere, honestas contra revocare ad se videtur, fit ut distrahatur in deliberando animus afferatque ancipitem curam cogitandi.
 9. Tre punti si devono quindi considerare, secondo Panezio, nel prendere una decisione. Prima di tutto ci si pone il quesito se sia onesto o disonesto da mettere in pratica, quello che è oggetto della nostra decisione; e appunto in questa indagine spesso gli animi si dividono in opposti pareri. Poi si studia o si riflette attentamente, se ciò che si decide giovi, o no, alla comodità e alla piacevolezza della vita, agli averi, agli agi, al prestigio, al potere, tutte cose utili a noi e ai nostri familiari; e questa valutazione rientra tutta nell'ambito dell'utilità. La terza specie di dubbio si ha quando ciò che sembra utile entra in conflitto con l'onesto: quando pare, infatti, che per un verso l'utilità ci trascini a sé e l'onestà per contro ci richiami a sé, allora l'animo nel prendere una decisione si divide e produce una profonda incertezza nel pensiero. 

[10] Hac divisione, cum praeterire aliquid maximum vitium in dividendo sit, duo praetermissa sunt. Nec enim solum, utrum honestum an turpe sit, deliberari solet, sed etiam duobus propositis honestis utrum honestius, itemque duobus propositis utilibus utrum utilius. Ita quam ille triplicem putavit esse rationem in quinque partes distribui debere reperitur. Primum igitur est de honesto, sed dupliciter, tum pari ratione de utili, post de comparatione eorum disserendum.
 10. Ora, questa divisione, benché sia gravissimo difetto trascurare qualcosa nel valutare un argomento, trascura ben due elementi: giacché non si è soliti, difatti, decidere soltanto se un obiettivo sia onesto o disonesto, ma, posti dinanzi a due obiettivi onesti, decidere anche quale dei due sia più onesto; e allo stesso modo, postici innanzi due obiettivi utili, decidere quale dei due sia più utile. Si trova così che quella materia, che Panezio ritenne di natura triplice, deve invece distribuirsi in cinque parti. Prima di tutto, dunque, si dovrà ragionare dell'onestà, ma sotto due aspetti; poi, con lo stesso metodo, dell'utile; infine si dovranno confrontare tra loro questi due principi.

Nessun commento:

Posta un commento

Inserisci le tue considerazioni e i tuoi consigli.

Visualizzazioni totali

Translate