TESTO DI
Cicerone, De officiis (I doveri)
[64] Sed illud odiosum est, quod in hac elatione et magnitudine animi
facillime pertinacia et nimia cupiditas principatus innascitur. Ut enim
apud Platonem est, omnem morem Lacedaemoniorum inflammatum esse
cupiditate vincendi, sic, ut quisque animi magnitudine maxime excellet,
ita maxime vult princeps omnium vel potius solus esse. Difficile autem
est, cum praestare omnibus concupieris, servare aequitatem, quae est
iustitiae maxime propria. Ex quo fit ut neque disceptatione vinci se nec
ullo publico ac legitimo iure patiantur, existuntque in re publica
plerumque largitores et factiosi, ut opes quam maximas consequantur et
sint vi potius superiores quam iustitia pares. Sed quo difficilius, hoc
praeclarius; nullum enim est tempus, quod iustitia vacare debeat.
64. Ma è ben penoso vedere come in seno a questa elevatezza e grandezza d'animo nasca assai facilmente l'ostinazione e un'eccessiva bramosia di primato. A quel modo che, come scrive Platone, lo spirito pubblico degli Spartani non ardeva che d'amor di vittoria, così, quanto più uno eccelle per grandezza d'animo, tanto più agogna d'essere il primo, o piuttosto il solo fra tutti. D'altra parte, quando si è posseduti dal desiderio di essere superiore a tutti, è ben difficile mantenere l'equità, che è il principale attributo della giustizia. Onde avviene che gli ambiziosi non si lasciano vincere, né da buone ragioni, né da alcuna autorità di diritto e di leggi; ed ecco emergere per lo più nella vita pubblica corruttori e partigiani, che altro non vogliono se non acquistare quanta più potere è possibile, ed essere superiori nella forza piuttosto che pari nella giustizia. Ma quanto più è difficile, tanto più è bella la moderazione: non c'è momento della vita che possa sottrarsi all'imperativo della giustizia.
[65] Fortes igitur et magnanimi sunt habendi non qui faciunt, sed qui
propulsant iniuriam. Vera autem et sapiens animi magnitudo honestum
illud, quod maxime natura sequitur, in factis positum, non in gloria
iudicat principemque se esse mavult quam videri. Etenim qui ex errore
imperitae multitudinis pendet, hic in magnis viris non est habendus.
Facillime autem ad res iniustas impellitur, ut quisque altissimo animo
est, gloriae cupiditate; qui locus est sane lubricus, quod vix
invenitur, qui laboribus susceptis periculisque aditis non quasi
mercedem rerum gestarum desideret gloriam.
65. Forti e magnanimi, adunque, si devono stimare non quelli che fanno, ma quelli che respingono l'ingiustizia. E la vera e sapiente grandezza d'animo giudica che quell'onestà, a cui tende sopratutto la natura umana, sia riposto non nella fama, bensi nelle azioni, e perciò non tanto vuol sembrare quanto essere superiore agli altri. In verità, chi dipende dal capriccio d'una folla ignorante, non deve annoverarsi fra gli uomini grandi. D'altra parte, l'animo umano, quanto più è elevato, tanto più facilmente è spinto a commettere azioni ingiuste dal desiderio della gloria; ma questo è un terreno assai sdrucciolevole, perché è difficile trovare uno che, dopo aver sostenuto fatiche e affrontato pericoli, non desideri, come ricompensa delle sue imprese, la gloria.
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